di Chiara Mariasole Carugati*

Quando una persona sperimenta un trauma, gli esiti fisici ed emotivi possono impattare non solo sulla persona stessa ma, qualora ci siano, anche sui propri figli. 

Gli effetti di un’esperienza traumatica possono iniziare fin dalla vita intrauterina, laddove la madre stia vivendo esperienze avverse durante la gravidanza. 

Durante un periodo di stress, il corpo rilascia cortisolo. Questo permette al nostro corpo di affrontare situazioni difficili o di pericolo, alterando le funzioni vitali (come ad esempio aumento della glicemia e dei grassi nel sangue) in modo da fornirci forza, resistenza e prontezza nelle reazioni. 

Ma se il periodo di stress si protrae troppo a lungo, il rilascio costante di cortisolo può portare a conseguenze dannose per il nostro organismo. 

Quando sperimentiamo esperienze traumatiche, queste elevano la presenza di cortisolo a livelli insani, e questo può avere un impatto epigenetico (ovvero può modificare superficialmente il nostro DNA) non solo su di noi, ma anche sui nostri figli (anche i cambiamenti epigenetici possono essere trasmissibili di generazione in generazione).

Il ruolo del cortisolo nel circolo del trauma

“Pronti a combattere”

Quando una persona è sottoposta a costanti agenti stressanti, questo ha un impatto sia sulla mente che sul corpo. Durante questi momenti di stress, come dicevamo, uno degli ormoni principali rilasciati nell’organismo è il cortisolo. Chiamato anche “l’ormone dello stress”, il cortisolo è un sistema d’allarme interno, che risponde alle situazioni difficili regolando il metabolismo, i livelli di zucchero nel sangue, e focalizzando l’attenzione a livello cognitivo. 

E’ un ormone vitale, che sostiene – mantenuto ai giusti livelli – una vita sana e sostenibile. 

Le risposte fisiologiche al rilascio di cortisolo

  • incremento del battito cardiaco
  • aumento della pressione sanguigna
  • aumento del glucosio nel sangue
  • aumento della frequenza respiratoria e della tensione muscolare
  • shutdown (spegnimento) dei sistemi non utili in una modalità di sopravvivenza, come il sistema digestivo e riproduttivo

Durante un momento di difficoltà, o di pericolo, tutti questi aspetti concorrono alla sopravvivenza. Il corpo si prepara a combattere, ad affrontare un pericolo imminente, e per farlo concentra tutte le proprie energie dove è necessario, sospendendo temporaneamente quelle funzioni che non sono necessarie, appunto, alla sopravvivenza. 

Ma cosa accade quando siamo sottoposti tutti i giorni a stimoli stressogeni? Cosa succede quando il nostro sistema corpo-mente è bombardato costantemente da segnali di allarme?

Che lo stress buono, l’eustress, necessario ad affrontare le avversità, si tramuta in distress, stress cattivo, con costanti livelli elevati di cortisolo che possono diventare dannosi per la salute ed il benessere.

Uno degli effetti del trauma su chi lo sperimenta, a lungo termine, è la difficoltà nel regolare le proprie emozioni e nella diversificazione delle proprie emozioni. Il range delle emozioni sperimentate può diventare incredibilmente sottile e ridursi spesso ad un sottostante allarme costante. E’ come se il nostro “antifurto” interno diventasse incredibilmente sensibile, e scattasse per ogni minimo segnale, senza la possibilità di discriminare fra i diversi livelli di pericolosità. 

Fonte : nicabm.com (National Institute for the Clinical Application of Behavioral Medicine)

Come il cortisolo influenza lo sviluppo precoce

Durante la gravidanza il cortisolo, a livelli normali, supporta lo sviluppo del feto. Quando il corpo di una madre rilascia cortisolo, il feto assorbe l’ormone attraverso la placenta. 

Questo ha un impatto 

  • sull’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (cioè il “centro di comando delle nostre risposte allo stress)
  • sul sistema nervoso centrale 
  • sul sistema nervoso autonomo
  • sullo sviluppo del cervello
  • sullo sviluppo dei polmoni

Durante questa fase di sviluppo prenatale gli organi del feto sono soggetti sia ad influenze positive che negative da parte del corpo della madre. E’ un momento cruciale, ed elevati livelli di stress materno possono indurre un rischio per la salute del bambino, e possono portare ad un ritardo nello sviluppo delle sue funzioni cognitive e motorie.

Quando un genitore, soprattutto una madre nelle fasi perinatali, combatte costantemente con livelli disregolati di emotività, questo può influenzare anche la relazione di attaccamento che viene ad instaurarsi con il proprio bambino. 

Anche precoci traumi legati all’attaccamento possono avere effetti a lungo termine sulla vita di un bambino, manifestandosi anche in età adulta. Quando un bambino sperimenta, nelle primarie interazioni con la propria figura accudente, uno stile di attaccamento insicuro, questo può condurre a sua volta a difficoltà nella regolazione delle emozioni e nella costruzione di legami significativi e di fiducia durante la propria crescita.

Le interazioni di un bambino con un caregiver che sta sperimentando o riattualizzando esperienze traumatiche possono influenzare, fra altri aspetti, anche una maggiore predisposizione ad un disturbo post traumatico da stress, una maggiore difficoltà a riparare gli “strappi relazionali” dopo un conflitto, una maggiore fatica in generale nelle relazioni.

Esperienze traumatiche irrisolte rendono difficile per una persona stabilire una sicura intimità e vicinanza relazionale, talvolta conducono inconsapevolmente chi le ha vissute a rivivere le stesse situazioni relazionali che li hanno traumatizzati, possono generare distacco emotivo, o una maggiore predisposizione alla dissociazione.

Per una persona traumatizzata la sola “percezione” di una minaccia, anche senza una minaccia reale, porta a stati di shutdown o di dissociazione. Questi stati di blocco, o di iperattivazione emotiva, possono essere “accesi” da memorie traumatiche o anche solo a sensazioni corporee legate al trauma passato. 

Se questi aspetti non vengono trattati, possono avere un impatto anche sulle abitudini alimentari e sulla regolazione del ciclo sonno-veglia, possono portare a forme di ritiro sociale ed alla difficoltà di esprimere i propri vissuti, emozioni e pensieri.

Interrompere il ciclo del trauma

Quando il trauma di un caregiver impatta su un bambino, questo può creare un loop, una trama che si ripete in modo implicito anche attraverso le generazioni. 

Anche se l’impatto può essere significativo e a lungo termine, le esperienze traumatiche, comprese quelle legate alle relazioni primarie, non sono scolpite nella pietra, possono essere affrontate in un percorso di terapia. 

Durante un percorso di terapia è possibile comprendere e riconoscere le proprie esperienze traumatiche, le risposte che si sono messe in campo per farvi fronte, con le risorse che si avevano a disposizione, dare un senso a reazioni fisiologiche, emotive e cognitive che spesso sembrano decontestualizzate. In un clima di sicurezza, fiducia, pazienza e delicatezza, è possibile conoscere come vissuti traumatici (fissati nella nostra storia, talvolta transgenerazionale) condizionino quotidianamente la nostra percezione di pericolo, distinguere la natura ed il livello di pericolo delle situazioni, modulare le proprie risposte emotive. 

*Chiara Mariasole Carugati, Psicologa, Psicoterapeuta

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