a cura di Valentina Miot*, Cecilia Ricci Mingani** e Andrea Bonfiglio***

ASCOLTA IL PODCAST DEL CENTRO CLINICO DI PSICOLOGIA DI MONZA

   Il Dossier “Adolescenti in Lockdown”, che verrà suddiviso in diversi contributi sul tema, è stato pensato a partire dai dati emersi dalla clinica.

La riflessione è necessaria e si potrebbe articolare su più livelli.

   In questo primo contributo ci soffermeremo sui vissuti che i ragazzi stanno vivendo a partire dalla clinica e la possibilità o meno di esprimere e rappresentare il proprio disagio, affinchè esso non resti sommerso ma comunicabile.

   Il coinvolgimento del mondo adulto, la scuola, e la relazione con gli adolescenti sarà oggetto del secondo contributo sul tema.

Verranno in itinere aggiunti nuovi pensieri e contributi sulla base delle esperienze.

 Parte Prima

di Valentina Miot* e Andrea Bonfiglio***




I dati dagli ospedali: i ragazzi stanno male

   In un articolo del settimanale L’Espresso, dal titolo “Arrivederci ragazzi” (N.13, 21 marzo 2021), viene lanciato l’allarme: “I nostri ragazzi non sanno come immaginare il futuro, e questo dolore silenzioso si insinua ogni giorno creando fratture che poi deflagrano nei pronto soccorso come osserviamo in questi mesi”.

Dalla neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza del Bambino Gesù di Roma il prof. Vicari parla di aumento dei ricoveri di minori dal 20 al 30 per cento, un aumento arrivato soprattutto con la seconda ondata, riportando un aumento significativo dei tentativi di suicidio.

Dai risultati di uno studio della Fondazione Mondino di Pavia si è rilevato un aumento di stati di agitazione e ansia, preoccupazione ansiosa per la salute e per il futuro, sintomi dissociativi, disturbi del sonno. Il Prof. Borgatti, che dirige la NPI del Mondino, denuncia la solitudine dei ragazzi e la mancanza di una chiara strategia di politica sanitaria. I tagli sulle braccia spesso diventano un segno per manifestare attraverso il corpo la sofferenza.

Il dr. Sacrato della NPI e Centro Regionale per i DCA dell’Ospedale Sant’Orsola Malpighi di Bologna rileva un aumento di casi di anoressia nervosa ad esordio precoce e parla della mancanza di fattori protettivi rispetto alle paure e alle insicurezze, anche dei genitori.

   Anche la Prof.ssa R. Nacinovich, direttrice della U.O.C. di Neuropsichiatria Infantile dell’ASST di Monza – Ospedale San Gerardo, in un’intervista a “Il Cittadino” del 7 febbraio 2021, riferisce un aumento delle richieste di accesso ai Servizi durante il secondo lockdown, a testimonianza delle crescenti difficoltà in una situazione in cui l’emergenza si protrae. Nell’intervista descrive principalmente “due reazioni opposte da parte degli adolescenti nel manifestare il proprio disagio: il ritiro e l’aggressività. La chiusura rispetto al mondo esterno è diventata a volte abbandono anche della Dad, dei contatti via social, con comparsa di somatizzazioni, angosce ipocondriache, depressione… Altre volte l’iperconnessione ha portato a disturbi del sonno, al sovvertimento dei normali ritmi di attività e riposo, alla perdita della stabilità anche emotiva che le routine quotidiane favoriscono. L’aggressività può manifestarsi nei confronti di familiari, coetanei o contro se stessi, come nell’autolesionismo o nei tentativi di suicidio. Per quanto riguarda i disturbi del comportamento alimentare è stato registrato un aumento del 120% rispetto al 2019, con una maggiore gravità psicopatologica”. 

Quali sono i vissuti e le immagini nei lockdown degli adolescenti hanno chiesto aiuto?


   La rappresentazione, la raffigurazione visiva, può essere una prima modalità di conferimento di senso, come espressione soggettiva del se’ in formazione e trasformazione.

   Prevale un vissuto di sospensione nel presente, nell’incertezza, senza riuscire a immaginare e progettare il futuro, anche nei termini di una rappresentazione del sè (“Sei in una bolla”). 

   Dopo un iniziale disorientamento l’alternanza di illusioni e disillusioni ha minato la fiducia in una via d’uscita.  

   “…Sei a un gradino dalla felicità, poi ti buttano giù dalle scale e devi ricominciare da capo”.

   Compaiono la tentazione dell’uscita saltando da un balcone o la sfida tra le rotaie di un treno. La ripetizione di uno stress prolungato ha provocato poi impotenza, apatia, rassegnazione, che a volte però scoppia in attacchi di rabbia, o di ansia intensa, come segnale a volte che qualcosa di vivo che pulsa è ancora presente.

   Il senso di sicurezza interna è stato minacciato da un pericolo esterno, che provoca inoltre angosce di contagio e di morte. Ci si confronta con i limiti, le insicurezze e le fragilità umane. 

   “Vedo un pavimento che è diventato gelatinoso, cioè non proprio solido…vedo che c’è un buco in fondo ma io sono ancora su per ora e lo vedo dall’alto”

   Adolescenti e adulti, insieme e/o nelle proprie solitudini. L’adolescente infatti si incontra/scontra con un adulto anch’esso coinvolto nella stessa incertezza identitaria e sul futuro.

   Ragazzi e genitori, nella convivenza forzata, sono alle prese inoltre con una riorganizzazione dei confini personali e delle distanze relazionali (“troppo vicini / troppo lontani”). Con la perdita delle relazioni sociali e delle sperimentazioni extrafamiliari il processo di separazione dai genitori e di costruzione identitaria è messo a dura prova. Quello che vediamo spesso clinicamente è un blocco nel processo di crescita, manifestato attraverso sintomi che spesso coinvolgono il corpo, luogo del “confine” tra interno ed esterno, concreto, su cui spesso proiettare e scaricare una sofferenza psichica che fa fatica ad essere contenuta nella mente. 

   Emergono anche vissuti di inadeguatezza, di incapacità e vergogna nel non riuscire a “stare al passo” e ad andare avanti, con un forte stress sia rispetto alle prestazioni scolastiche che alle relazioni. Prevale inoltre la sensazione che ciò che si è perso non sia recuperabile.

   “E’ come essere a una gara di corsa… tu sei in sedia a rotelle… e gli altri che corrono e che passano avanti ..So che non sono gli altri…che sono come te sulla sedia a rotelle, ma è il tempo che passa e che non riavrò più”

Come poter fare?


   Poter rimanere in contatto con le proprie emozioni, senza averne troppa paura, perché più si cerca di tenerle a distanza più si ripresentano sotto forma di sintomi, che possono poi coinvolgere il corpo come canale di espressione che possiamo osservare nella clinica.

   Il “lockdown”, il “confinamento” può diventare però anche l’occasione per riflettere su se stessi, sui propri confini identitari appunto, sui progetti da tener vivi nel desiderio, sulle proprie passioni, sui legami con gli altri e sulle distanze relazionali continuamente da ricostruire e preservare dinamicamente. Nella ricerca di come poter tollerare l’incertezza, con la consapevolezza di non averne il controllo. E’ importante tener vivo il contatto con ciò che si sente, si prova, si pensa, e attivare anche una comunicabilità di questo “bagaglio”, affinchè sia pensabile e vivo nel mantenere una fiducia nel cambiamento e nel futuro.

*Valentina Miot, Psicologa e Psicoterapeuta, Referente Area Adolescenti e Giovani Adulti presso il “Centro Clinico di Psicologia” di Monza

**Cecilia Ricci Mingani, Psicologa e Psicoterapeuta, collaboratrice Area Adolescenti e Giovani Adulti presso il “Centro Clinico di Psicologia” di Monza

***Andrea Bonfiglio, Tirocinante pre-lauream in Psicologia presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca