di Cecilia Ricci Mingani* e Andrea Bonfiglio**

PANDEMIA E ADOLESCENTI: le vittime invisibili e la crisi dell’autorevolezza degli adulti 

Adulti e adolescenti nella pandemia: una lunga crisi

All’inizio della pandemia, le primissime restrizioni imposte sono state vissute dai giovani come un momento di sospensione abbastanza proficuo dalle richieste del mondo esterno (scolastico e non) che ha assunto, con il perdurare illimitato, vissuti più intensamente angoscianti. 

Durante le prime riaperture, gli adolescenti sono stati spesso etichettati dai media quali vettori del virus, considerati incauti ed irresponsabili: le loro angosce, nei confronti della salute dei propri cari e del loro corpo, contaminato e contaminabile, sono state mal tollerate e/o ignorate; leggendo i giornali ed ascoltando le notizie sui canali d’informazione sembrava comparisse l’urgenza evacuativa di trovare un capro espiatorio, al quale rivolgere le angosce mortifere che coinvolgevano, ed ancora sollecitano, il vissuto collettivo.

Gli adulti in seguito hanno iniziato ad interrogarsi ed attivarsi a proposito degli adolescenti, focalizzando prevalentemente l’attenzione sulla scuola (prima con l’esame di maturità, poi sul rientro in presenza ed infine con la Dad) e sulle carenze dell’apprendimento scolastico. 

In Lombardia i ragazzi, dalla seconda media e fino alle superiori, hanno effettuato circa 15 settimane di Dad su 29 di lezione, durante l’anno scolastico in corso. 

Inoltre, come emerge anche dall’ultima indagine ISTAT del 2020, il 30% delle famiglie non possiede un pc o tablet (aumenta al 41% nel Mezzogiorno); nella fascia di età tra 15 e 18 anni il 6% dei ragazzi non possiede un tablet o un pc autonomo. 

Oltre alle carenze strumentali, per 3 milioni di persone sussistono problemi di connessione alla rete internet. 

Dopo quasi un anno di didattica a distanza, questi dati sono particolarmente significativi nell’evidenziare l’alto rischio dell’acuirsi di differenze sociali di ceto e sanciscono un segnale preoccupante dell’aumento sia della dispersione scolastica (valutata in Italia, in periodo prepandemico, al 11% circa per i ragazzi di 15 anni – ISTAT, 2020), sia dell’isolamento individuale dei giovani.

La scolarizzazione a distanza, in uno stato d’isolamento relazionale e sociale, ha richiesto agli adolescenti sforzi eccezionali di attenzione ed auto-motivazione: connettersi dalla propria camera, soli, accendere la telecamera, ascoltare ed apprendere in una atemporalità ripetitiva elicita sensazioni di stanchezza, apatia, disinteresse, disorientamento, impotenza ed angoscia, che inficiano il funzionamento cognitivo ed attentivo dei ragazzi, determinando il successivo disinvestimento parziale o totale dalla Dad.

La scuola a distanza ha imposto dunque un apprendimento sterile, fatto primariamente di contenuti, dimenticando la sua valenza educativa correlata all’esperienza delle relazioni ed alla sperimentazione sociale.   

Sappiamo che il contatto con il mondo esterno, con soggetti coetanei, simili e diversi da sé, permette all’adolescente di fare esperienze di crescita, di acquisire un ruolo sociale extrafamiliare, proprio e distinto da quello d’origine, sperimentandosi e rispecchiandosi con gli altri, acquisendo competenze affettive ed emotive di sé e degli altri.

L’ isolamento forzato e la condivisione vincolata degli spazi casalinghi hanno determinato un impatto enorme sui processi fase-specifici dell’adolescenza: il processo di separazione ed individuazione, con il quale l’adolescente fa esperienze proprie e costruisce la sua identità, separata e distinta, uscendo dalla visione infantile onnipotente che i genitori gli hanno passivamente rimandato, ha necessariamente subito un rallentamento o più spesso una sospensione dolorosa; la socializzazione è stata trasferita sul web, con mancanze e diversità evidenti, in primis di rispecchiamento e poi di alternanza tra presenza/assenza, caratteristica specifica e fondante le relazioni reali.

Gli adolescenti sono vittime invisibili, a cui sono state richieste rinunce di crescita ed esperienza incredibili. 

La negazione delle problematiche profonde dei soggetti giovani è stata operata dalla mancanza del pensiero e delle azioni specifiche degli adulti, colpiti e disorientati anch’essi da un evento traumatico improvviso ed eccezionale: si è assistito pertanto ad un mondo adulto in grave difficoltà nel mentalizzare il trauma, darne significato, voce emotiva e risposte coerenti e legittime. 

È pertanto necessario che gli adulti ora inizino a riconoscere la complessità degli effetti delle limitazioni sui giovani ed a riflettere sulle alternative realizzabili. 

I racconti degli adulti: un cambiamento è in atto…

Negli incontri con i genitori inizialmente sembrava emergere un condizionamento mediatico tale da veicolare spesso i racconti delle dinamiche con i figli adolescenti su descrizioni di limitato impegno scolastico, scarsa responsabilità e semplice passività.

è sempre in pigiama…non ha voglia di fare nulla…non capisce che deve comunque fare il suo

Attualmente invece la loro voce si è fatta a tratti più greve e significativa: molti genitori iniziano a riconoscere silenzi oppositivi, ritiri emotivi, scarsa condivisione ed apatia dei loro figli

non so cosa stia vivendo…non parla…mi preoccupa…si vede che non sta bene, ma non so proprio come aiutarla…”, “sapesse come la sto vivendo io questa cosa

ma si sentono privi di risorse e competenze d’intervento, in quanto anch’essi soggetti e co-protagonisti del trauma pandemico, senza bussola e senza rotta.

L’impotenza e l’angoscia di morte permeano tutti noi, non si hanno risposte di fronte ad un pericolo che giunge dalla relazione con l’altro, non è ambientale (come di fronte a terremoti, alluvioni, disastri nucleari..), ma è legato al contatto con il nostro amico, conoscente e parente. Questo è un fattore nuovo, peculiare e strutturante la concezione della relazione, che ha ed avrà una ricaduta nelle dinamiche, esterne ed interne dei soggetti, soprattutto quelli in crescita.

 

Cosa devono fare gli adulti?

Ora c’è bisogno di un mondo adulto capace di sincronizzarsi con le problematiche vere dei giovani, capace di ascoltare, empatizzare i vissuti ed accogliere il disagio psichico per dare una raffigurazione di significato: è pertanto necessario che i giovani siano aiutati a mentalizzare le loro emozioni, in modo che non vengano agite sia in una modalità esplosiva – come per esempio la rabbia e l’ansia –, sia anestetizzante – come per la noia e l’apatia – .

C’è bisogno pertanto di una rappresentatività del trauma e dei soggetti coinvolti: cadere nella priorità del funzionamento e rendimento scolastico, quale indicatore di benessere e di tenuta dei giovani, alimenta una visione ottusa e contraddittoria della complessità del disagio che vivono.

Gli adulti devono riacquisire la loro autorevolezza e fornire uno sguardo di speranza, di prospettive future e di progettualità: i giovani, orientati fisiologicamente verso la costruzione del futuro, hanno bisogno di incontrare adulti capaci di sostenerli nella loro motivazione positiva di crescita e sviluppo, anche e soprattutto ora. 

*Cecilia Ricci Mingani, Psicologa e Psicoterapeuta, collaboratrice Area Adolescenti e Giovani Adulti presso il “Centro Clinico di Psicologia di Monza”

**Andrea Bonfiglio, Tirocinante pre-lauream in Psicologia presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca

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