di Marco Caltanissetta*

Il termine “stati mentali a rischio” (ARMS – At Risk Mental State) è stato introdotto nella metà degli anni ‘90 per riferirsi a giovani con un elevato rischio di sviluppare un disturbo psicotico.
La sua definizione è stata preziosa perché intercettare gli stati mentali a rischio, ovvero quei segnali di rischio aspecifici che anticipano l’esordio dei sintomi, è fondamentale per garantire una cura tempestiva e prevenire l’insorgenza della malattia mentale.

Grazie a figure pioneristiche come Ian Falloon (1992) e Patrik McGorry (1995), si è assistito nel panorama mondiale, a una crescente diffusione di programmi di prevenzione, proprio centrati sull’intercettazione di questi eventi sentinella.

L’intervento precoce è stato infatti una reale rivoluzione nel mondo della salute mentale, proprio per aver messo in luce il ruolo primario della prevenzione, così come avviene in tutti i campi della medicina.

Nel caso del disturbo psicotico, per esempio, l’intervento precoce, è in grado di rallentare o, in altri casi, di evitare l’esordio di un primo episodio psicotico, di ridurre la durata della psicosi non trattata e minimizzare l’esperienza traumatica del giovane e della sua famiglia.


Cosa si intende per stati mentali a rischio



Come descritto poc’anzi i “giovani ARMS” sono giovani con un elevato rischio di sviluppare un disturbo psicotico.

Per intervenire tempestivamente e cambiare la traiettoria della malattia è necessario riconoscere il prima possibile i segnali di rischio, ovvero quella serie di comportamenti, atteggiamenti, stati d’animo che anticipano l’insorgenza della patologia psichiatrica.

Tra i principali segnali di rischio meritevoli di attenzione clinica troviamo:

  • la riduzione della concentrazione e dell’attenzione
  • la mancanza di energia
  • una forte riduzione dell’iniziativa
  • una perdita di motivazione
  • l’isolamento o la perdita delle relazioni interpersonali
  • l’alterazione del sonno
  • il forte deterioramento del ruolo sociale (nei ragazzi, per esempio, questo si manifesta con un improvviso crollo dei voti fino all’ abbandono scolastico).

A ciò si aggiungono inoltre, stati di ansia, depressione, sospettosità e irritabilità.

Come è facile osservare, tali manifestazioni, possono essere molto comuni e decisamente riconoscibili durante l’adolescenza (ma anche nella vita dell’adulto), per questo vengono definite aspecifiche e, se transitorie, non sono da considerarsi indicatori di disagio né devono far preoccupare.

Al contrario, se perdurano nel tempo e la loro intensità è così alta da intaccare la qualità di vita, delle relazioni e il funzionamento generale del giovane, allora è necessario intervenire tempestivamente, prima che i segnali di crisi evolvano nella patologia.

È anche bene sottolineare che i “giovani ARMS”, sono ragazzi con una vulnerabilità bio-psico-sociale importante. Questo significa che i segnali di rischio sopracitati, necessitano di un’attenzione clinica soprattutto in quelle situazioni in cui vi è una familiarità per patologie psichiatriche (per esempio genitori, nonni o zii con disturbi mentali gravi), in cui l’ambiente sociale o familiare risulti particolarmente complicato e povero di risorse protettive (emotive, affettive o più concrete) o ancora se nella vita del ragazzo sono accaduti avvenimenti traumatici o molto dolorosi, che possono aver infragilito ulteriormente una struttura interna già vulnerabile e fragile.

Come accennato in precedenza , è difficile distinguere tra un’accesa crisi adolescenziale e uno stato di sofferenza più profonda, soprattutto per i genitori, che non essendo in possesso di competenze tecniche, si ritrovano spesso disarmati e confusi di fronte a tali manifestazioni. Smarriti nel ritrovarsi di fronte a un figlio tanto diverso da quello che era prima, e spaventati dal non saper gestire la situazione.

Per questo è necessario rivolgersi agli specialisti, nello specifico allo psicoterapeuta e al neuropsichiatra infantile per una prima valutazione e un inquadramento diagnostico.



Cosa fare

La valutazione specialistica è il primo passaggio. Capire di cosa stiamo parlando, cosa sta accadendo nella vita – e nella mente – del ragazzo è determinate per differenziare una crisi transitoria, che spontaneamente si risolverà nel tempo, da una manifestazione di disagio più grave e invalidante, che se trascurata evolverà in psicopatologia, come una psicosi, o altre patologie che comunque andranno a compromettere lo sviluppo del ragazzo.

Questa prima fase è molto importante, anzi è la più importante.

Serve ai clinici per impostare un percorso di cura efficace, centrato sul bisogno del giovane e della sua famiglia. Serve ai genitori per capire come prendersi cura del figlio e affrontare la crisi. Serve al ragazzo per comprendere la natura di quello tsunami di dolore che sente dentro e poterci lavorare su.

Nella mia esperienza clinica con i ragazzi ho toccato con mano, il sentimento liberatorio dato dal capire finalmente cosa sta accadendo. Il poter dare un nome alle cose. E il poterlo condividere con qualcuno come il dottore e poi con i familiari. Non importa quanto il quadro sia complesso, se lo conosco e lo comprendiamo, fa meno paura.

La fase di consultazione, generalmente, prevede al suo interno colloqui clinici, rivolti al ragazzo e ai genitori, con uno psicoterapeuta specializzato in problematiche adolescenziali e giovanili e con un neuropsichiatra infantile. Spesso anche la somministrazione di test psicodiagnostici effettuata da un operatore dedicato e specializzato nell’utilizzo di test è preziosa in questo lavoro di ricerca e comprensione.

Ciò che emergerà in questa prima fase, consentirà la formulazione di un’ipotesi diagnostica, che nel tempo potrà essere confermata o mutare, e che è alla base della costruzione dell’intervento personalizzato e multidisciplinare a breve e medio termine.

L’intervento precoce dunque è in grado, come spiegano molte ricerche scientifiche, di limitare in modo significativo l’instaurarsi e il cronicizzarsi di quadri clinici gravi e complessi.
Se per molto tempo, la malattia mentale è stata considerata incurabile e inarrestabile, oggi sappiamo che non è così.

Rivolgersi agli specialisti per poter meglio discriminare, riconoscere la complessità del quadro clinico e intervenire laddove necessario con intervenenti appropriati è la chiave per permettere al giovane di interrompere il flusso della malattia e curare le proprie ferite. Potrà così riprendere in mano la propria vita, con più consapevolezza e rinnovate risorse e fiducia.

*Marco Caltanissetta, Psicologo, Psicoterapeuta Area Adolescenti e Giovani Adulti Centro Clinico di Psicologia di Monza