di Marco De Coppi* e Andrea Bonfiglio**

Nervosi, stanchi, demotivati e con poca voglia di fare. E’ la Pandemic Fatigue causata dal protrarsi della pandemia da Covid-19 e recentemente riconosciuta da un documento dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità): “una risposta prevedibile e naturale a uno stato di crisi prolungata della salute pubblica, soprattutto perché la gravità e la dimensione dell’epidemia da Covid-19 hanno richiesto un’implementazione di misure invasive con un impatto senza precedenti nel quotidiano di tutti“.


Quali sono i segnali?

Sul piano psicologico e clinico, la Pandemic Fatigue rappresenta una tipica reazione a eventi stressanti eccezionalmente prolungati che comporta sensazioni di stanchezza, fatica e irritabilità molto particolari: una stanchezza mentale, con perdita di forza psichica, che conduce in uno stato di “anergia“. Ossia quella sensazione in cui si desidera fare qualcosa ma poi non la si fa, non per un impedimento esterno o fisico, ma perché ci appare mentalmente faticosa e quindi si rinuncia. E’ una forma di stanchezza molto insidiosa, all’inizio non facilmente riconoscibile e può andare ad intaccare tutte le sfere della nostra vita fino a farci perdere ogni interesse e desiderio e a condurci in uno stato di apatia e letargia. In parallelo, la rabbia crescente per le limitazioni imposte a contenimento della diffusione del virus e il nervosismo latente che accompagna la Pandemic Fatigue può portare ad un’insofferenza verso le regole per contrastare l’epidemia che talvolta genera spunti persecutori o accese reazioni emotive contro le persone con cui condividiamo la vita quotidiana (partner, genitori, figli, colleghi di lavoro). 

Perché ne siamo colpiti?

L’ingresso del coronavirus nella nostra vita, l’emergenza sanitaria che stiamo vivendo e le misure di contenimento necessarie che vengono di volta in volta adottate hanno messo in crisi il nostro senso di sicurezza interno e ci hanno fa perdere l’illusione di avere un controllo sulla realtà. Illusione che le conquiste della scienza e della tecnica avevano sostenuto, alimentando l’idea di una crescente onnipotenza dell’essere umano, capace di far fronte rapidamente ad ogni evenienza che può disturbare la nostra vita e i nostri progetti. 

In realtà questa emergenza sanitaria ci ha posto, e continua a porci, di fronte all’incertezza e alla mancanza di un controllo onnipotente sulla realtà e ci fa rendere conto che la fragilità dell’essere umano non è confinata altrove (in un Terzo Mondo o nelle situazioni eccezionali di chi è colpito da malattie che tutti scongiuriamo), ma è una realtà e un’evenienza che ci riguarda, riguarda tutti.

Tutto questo genera delle reazioni emotive molto intense – talvolta perturbanti o sconvolgenti – che possono evolvere in differenti condizioni cliniche, in base all’impatto emotivo che questa situazione ha sulla persona, alle sue caratteristiche psicologiche e al suo modo specifico di “stare male” e di reagire alle costrizioni imposte. La Pandemic Fatigue è una di queste condizioni di malessere.  


Quali strumenti abbiamo per attraversare questo momento senza farci schiacciare dalla stanchezza? 

E’, innanzitutto, importante prenderci cura delle emozioni. La psicoanalisi ci insegna che le emozioni trascurate si intensificano e che la loro intensità è direttamente proporzionale alla distanza che prendiamo da esse. E’ una vera e propria iperbole: all’intensità di un’emozione di cui non vogliamo occuparci corrisponde una manifestazione sintomatica altrettanto intensa che altera comunque la nostra condizione psicologica; con l’aggravante di riportare tutta una serie di fastidi, talvolta anche fisici, di cui finiamo per non comprendere nemmeno più l’ origine o la causa. 

Quindi, in questo periodo, è importante mantenere un contatto attivo con le nostre emozioni e con il nostro corpo: quello che proviamo, quello che sentiamo, quello che ci infastidisce o che invece ci dà piacere o sollievo. Mettere in parola questo e comunicarlo a qualcuno di significativo è già un primo passo per contenere la risposta allo stress.

Per quanto riguarda la quotidianità, invece, è importante mantenere le redini della nostra vita e soprattutto della nostra giornata. La mente, per funzionare in modo ottimale, ha bisogno di muoversi entro confini spaziali e temporali definiti. In caso di smart working o di didattica a distanza, è bene crearsi una nuova routine con nuovi orari prestabiliti da seguire per non sentirsi allo sbando: una routine adeguata con ritmi sonno-veglia regolari, l’attività motoria costante, la ricerca di spazio e tempo per svagarci e stare in contatto con dimensioni creative (ascoltare musica, guardare film, leggere un libro, cucinare e altro ancora). In sostanza, nel quotidiano, è importante darsi obiettivi e concedersi gratificazioni che ci aiutino a mantenere la dimensione del piacere e a tenere vivo il desiderio

Un’attenzione va anche posta sulle spinte compulsive a cercare di avere un controllo su quello che sta succedendo, consultando continuamente notizie, social media e quant’altro. Questo rischia di diventare un rimedio peggiore del male che intende curare, perché invece di attenuare amplifica la nostra ansietà che rimane senza le certezze che andavamo cercando e ci conduce oltretutto a condotte di isolamento.   

Infine, è molto importante continuare a coltivare le relazioni ed i rapporti che per noi sono significativi. In questo periodo abbiamo dei limiti nel vedere gli amici e nel vivere la nostra affettività attraverso contatti, abbracci, baci e nello stare vicini l’uno all’altro. La socialità non è facilmente sostituibile con quella on-line, tuttavia anche a distanza e con la consapevolezza che ovviamente non è “uguale”, questo ci permette comunque di dare continuità ai nostri legami e in parte anche alla nostra vita nell’attesa fiduciosa di un ritorno alla normalità.

Se vuoi avere informazioni o rivolgerti ad un nostro specialista, contatta il Centro Clinico di Psicologia al numero 039.9416276 o scrivi a info@centropsicologiamonza.it

*Marco De Coppi è Psicologo e Psicoterapeuta, referente del servizio di Consulenza Psicologica per la Coppia presso lo studio professionale “Centro Clinico di Psicologia” di Monza e Membro della Società Psicoanalitica Italiana (SPI) e dell’International Psychoanalytical Association (IPA).

**Andrea Bonfiglio è Tirocinante pre-lauream in Psicologia presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca.