di Stefania Vaccaro* e Andrea Bonfiglio**


Sono sempre un disastro”, “non riesco mai a concentrarmi”, “non valgo…

Quante volte ci è capitato, in un momento di difficoltà, di pensare queste cose di noi stessi o abbiamo usato queste parole rivolgendoci ai nostri figli, magari per rimproverarli di non aver portato a termine una richiesta o di non aver raggiunto un determinato obiettivo.

Le parole sono uno degli ingredienti importanti con cui possiamo nutrire la nostra autostima e sono utili anche per farci un’idea del valore che ci attribuiamo; di fatti, il professor Mario Di Pietro definisce l’autostima come: “l’insieme delle convinzioni e dei sentimenti che abbiamo riguardo a noi stessi”.

L’autostima è quindi un aspetto di noi, che costruiamo quotidianamente, giorno dopo giorno e da cui dipende, anche il modo in cui affrontiamo le sfide e le difficoltà che la vita ci presenta.


Autostima: un modo di pensare

A questo punto è utile chiederci: “come si crea l’autostima?”, a questa domanda iniziamo col rispondere che, una parte di essa, dipende dalle convinzioni (idee, credenze, atteggiamenti…) che circolano all’interno delle relazioni tra figli e i genitori e tra bambini/ragazzi e altri adulti di riferimento.

I rimandi delle persone significative (cioè le loro parole, i loro gesti, le loro espressioni) e le esperienze che il bambino vive nelle relazioni interpersonali, in particolare in quelle familiari, sono gli strumenti attraverso cui egli impara a pensare in un certo modo riguardo a se stesso, ad attribuirsi più o meno un dato valore personale.

Quando un bambino di fronte ai cambiamenti, a persone appena conosciute o a nuove sfide, mostra atteggiamenti di chiusura, un tono di voce basso, poco desiderio di mettersi in gioco e molta paura di sbagliare, è molto probabile che avrà poca stima di sé. 

Di fatti, in certi casi, la valutazione che il bambino compie su se stesso e sulle sue capacità può essere disturbata da alcune idee rigide: le distorsioni cognitive, che sono modalità disfunzionali (dannose, disadattive) di interpretare le esperienze. 

Vediamo insieme alcuni esempi, di queste distorsioni: la minimizzazione, cioè il meccanismo per cui un’esperienza positiva perde il suo effetto poiché viene svalutata (ad esempio il bambino riferisce che: “il compito in classe, questa volta, è andato bene perché era facile”); oppure la sovrageneralizzazione, per la quale un piccolo aspetto negativo di se stessi (magari una dimenticanza) diventa prova di una personalità totalmente inadeguata (penso che: “mi dimentico sempre tutto!”) , oppure il pensiero dicotomico, che non ammette sfumature ed estremizza il vissuto in positivo o negativo (ciò può valere per una prestazione, la persona si dice: “o sono capace di segnare un rigore oppure sono un pessimo giocatore”).

Noi adulti possiamo intervenire quando ci accorgiamo che il bambino mette in atto questi pensieri disfunzionali, una possibilità è quella di capire insieme a lui l’origine  di questo pensiero (possiamo chiedere al bambino qual è stata la prima volta che ha pensato così) e i contesti in cui questo pensiero si è manifestato (possiamo domandargli ad esempio: “quale situazione stavi vivendo?”, cosa ti è venuto in mente in quel momento?”, che comportamento hai messo in atto?”, perché hai reagito o ti sei comportato così?”…); questi interrogativi serviranno al bambino per ricostruire i vari passaggi che lo hanno portato a rispondere in modo disadattivo ad una determinata situazione e ad interrompere il circolo vizioso.

Foto di August de Richelieu da Pexels


Qualche suggerimento per l’autostima dei nostri bambini

Affrontare gli insuccessi insieme al bambino, condividere le emozioni legate a questi eventi sfavorevoli, osservare più attentamente i vari aspetti della situazione che è stata difficile da affrontare, capire le motivazioni che hanno spinto il bambino a rispondere in un modo piuttosto che in un altro…sono tutti aspetti che permettono al bambino di sentirsi accolto e ascoltato. 

Per aiutare i nostri bambini a costruire una buona autostima, è anche importante riconoscere, rispecchiare mettere in parole il loro valore, il loro essere unici e proprio per questo amabili.

Espressioni quali: “ho apprezzato molto il modo in cui hai affrontato questa situazione…”, “Mi piace molto la sensibilità che esprimi…” hai fatto veramente un ottimo lavoro”, “quando ti impegni sei un campione”… devono essere accompagnati da comportamenti non verbali da parte degli adulti significativi, in particolare dai genitori. 

Per comportamenti non verbali intendiamo gli sguardi di approvazione, i gesti affettuosi, come gli abbracci, le carezze, i “batti cinque” e le coccole; questi gesti comunicano molto al bambino, che da essi trarrà nutrimento per sentirsi amato, valorizzato e vedrà riconosciuto il suo impegno e il suo sforzo oltre che il risultato ottenuto. 

Infine, anche le attività condivise tra adulto e bambino, come il cucinare insieme una torta, fare le costruzioni insieme, andare in bicicletta o giocare al pallone, sono delle occasioni importanti per mostrare al bambino il suo valore, il significato che lui riveste per noi, il tempo che noi sapremo dedicargli sarà un carburante prezioso per alimentare la sua autostima.

Ricordiamoci che una buona autostima permetterà al bambino di avere fiducia nelle sue capacità di superare le difficoltà, nella possibilità di raggiungere obiettivi, grazie ai propri sforzi e nella possibilità di esprimere le proprie preferenze e i propri diritti.

Se vuoi avere informazioni o rivolgerti ad un nostro specialista, contatta il Centro Clinico di Psicologia al numero 039.9416276 o scrivi a info@centropsicologiamonza.it

*Stefania Vaccaro è Psicologa, specializzata in Psicoterapia Cognitivo e cognitivo- comportamentale  presso Studi Cognitivi di Milano, svolge attività come libero professionista a Monza presso il Centro Clinico di Psicologia nell’Psicologia dell’età evolutiva
**Andrea Bonfiglio è Tirocinante pre-lauream in Psicologia presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca.


Riferimenti bibliografici e sitografici: