È’ noto che l’eziologia dei Disturbi dell’Alimentazione è complessa, ed è semplicistico poter definire un’unica causa, purtroppo, l’opinione che certe attitudini dei genitori siano la causa primaria persiste tuttora, (nonostante non ci siano studi scientifici evidenti.)

Gli stereotipi sulle cause familiari dei Disturbi dell’Alimentazione sono particolarmente frequenti nei media e queste forme di disinformazione possono portare sia le persone affette da DCA sia i loro familiari ad avere idee sbagliate sulle cause del problema e di conseguenza peggiorare la malattia e le relazioni familiari.

Sembra – come evidenziano alcuni recenti studi – che l’unico elemento che può giocare un ruolo nel mantenere, o nell’aggravare il disturbo dell’alimentazione sia L’ EMOTIVITA’ ESPRESSA FAMILIARE, cioè la misura delle attitudini e dei comportamenti verso un membro della famiglia ammalato. In generale si può dire che le famiglie con un’elevata emotività espressa sono più critiche, più ostili ed eccessivamente coinvolte emotivamente. E’ fondamentale, quindi, aiutare i genitori a migliorare le loro attitudini e comportamenti nei confronti del membro della famiglia ammalato, affinché il trattamento psicoterapico sia più efficace.

Come scrive Riccardo Dalle Grave:

i genitori devono sapere che quello che è accaduto alla propria figlia/o non è una conseguenza di una scelta personale o di una mancanza di volontà, ma è il frutto di una malattia che ha un nome (disturbo dell’alimentazione), delle cause e che risponde a specifiche cure.

Ogni genitore dovrebbe riflettere se nei confronti della figlia affetta da disturbo dell’ alimentazione adotta lo stesso atteggiamento che terrebbe se la figlia soffrisse di una grave malattia biologia. E’ fondamentale comprendere che chi soffre di un disturbo dell’alimentazione ha uno scarso controllo della sua malattia e che deve essere aiutato per riuscire a sconfiggerla. Aiutare a sconfiggere una malattia grave come il disturbo dell’alimentazione non significa combattere contro la propria figlia ma contro una malattia che l’ha sopraffatta. Per tale motivo è importante evitare di etichettare la figlia come anoressica o bulimica, ma come una persona affetta da una malattia che si chiama anoressia nervosa o bulimia nervosa.

Molti genitori sono critici nei confronti dei pensieri e del comportamento alimentari della propria figlia pensando che tali critiche possano aiutarla; in realtà nella maggior parte dei casi un atteggiamento di critica porta a sviluppare un clima familiare disfunzionale, che favorisce la scarsa risposta al trattamento, il mantenimento e l’aggravamento del disturbo dell’alimentazione. La ricerca ha evidenziato che l’atteggiamento più utile è quello di adottare un’attitudine di accettazione della propria figlia, non criticando il suo comportamento alimentare. È evidente che  un atteggiamento di questo genere non è normale nella maggior parte delle famiglie, ma è terapeuticamente essenziale (a volte i genitori devono fare qualcosa d’inusuale per salvare la vita dei propri figli, come ad esempio donare un rene o fornire a loro un’assistenza continua se soffrono di una grave malattia organica) .

In generale, quindi, è importante che i genitori:

  • abbiano un atteggiamento aperto, non giudicante e colpevolizzante sia nei propri confronti sia in quelli dei figli e della patologia;
  • non vivano il disturbo dell’ alimentazione come il perno della vita familiare e unico argomento di conversazione con i figli;
  • riescano a ridurre il livello di emotività negativa (vergogna, colpa, inadeguatezza, paura) e trovino modalità più idonee per comunicare con i propri figli;
  • mantengano un rapporto adulto e non regressivo con i figli, evitando comportamenti iperprotettivi, controllanti o invischianti
  • riescano a ridurre il livello di critica nei confronti dei figli, in altre parole la frequenza con la quale manifestano osservazione negative sulla malattia.
  • contengano il vissuto di ostilità, inteso come un sentimento di negatività verso i figli più generalizzato rispetto alla singola critica;
  • prediligano una comunicazione basata su osservazioni positive e rinforzanti.

 

Spesso non è semplice riuscire a distendere le tensioni emotive interne alla famiglia quando ci si confronta con un disturbo  dell’alimentazione, per questo accanto ad un percorso psicoterapeutico individuale per la persona affetta da anoressia nervosa o bulimia nervosa è indicato anche un sostegno psicologico per gli altri componenti familiari.

 

Dott.ssa Maria Grazia Galimberti

Referente Area Disturbi Alimentari

 

Riferimenti bibliografici

Riccardo. Dalle Grave, “Terapia della famiglia”, ed. positive press, 2003