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Convivere con il diabete: il ruolo dello psicologo

Apr 10, 2018 | Blog, Psicologia della salute | 0 commenti

di Claudia Bonfanti*

Cosa comporta convivere con il diabete?

 

La diagnosi di diabete non solo pone la persona di fronte ai timori relativi alla propria salute nel breve e nel lungo termine, ma le impone di cambiare lo stile di vita mantenuto fino a quel momento. L’alimentazione e l’attività fisica non sono più qualcosa che l’individuo sceglie a seconda dei propri gusti e delle proprie inclinazioni bensì qualcosa che deve essere controllato e monitorato costantemente.

A ciò si aggiunge il controllo quotidiano e frequente dei livelli di glicemia e la somministrazione di una terapia che fanno sentire il paziente costretto a una pressante vigilanza del suo stato di salute.

Tutto questo può interferire con la vita sociale della persona che non si sente più spontanea né a proprio agio nelle situazioni conviviali e che si sente comunque costretta a continue rinunce o a seguire condotte comportamentali imposte.

All’improvviso la vita della persona inizia a girare intorno al fatto di essere diabetico: la giornata è scandita dai controlli glicemici, dal fare o non fare alcune cose piuttosto che altre non perchè “si vuole” ma perchè “si deve”.

Le reazioni di rabbia, di non accettazione, di impotenza sono comuni e naturali. Il rischio è però che la persona abbia invece degli stati d’animo più intensi che la possono portare a delle reazioni di ansia e/o di depressione.

La depressione secondo i criteri del DSM V è caratterizzata da alcuni sintomi, tra i principali possiamo trovare:

  • umore depresso per la maggior parte del giorno

  • diminuzione o perdita di interesse in quasi tutte le attività

  • agitazione o rallentamento psicomotorio

  • affaticabilità

  • insonnia o ipersonnia

  • perdita o aumento di peso

  • tendenza all’isolamento

  • difficoltà nel concentrarsi o nel prendere decisioni

  • pensieri di morte

Come lo psicologo può essere di aiuto a pazienti con diabete

Nei casi di diagnosi di diabete si è riscontrato come lo psicologo possa avere un ruolo utile e necessario sia per attivare dei comportamenti di adattamento -nel linguaggio tecnico definiti coping- sia per aiutare il paziente a contenere e a gestire reazioni di ansia, di depressione e di rabbia.

Uno degli scopi principali dell’intervento dello psicologo è permettere al paziente e ai familiari di poter esprimere liberamente le emozioni sottostanti e di sentirsi liberi di manifestare le paure e le incertezze riguardanti il futuro.

In aggiunta a ciò è necessario che lo psicologo aiuti il paziente nella messa in atto di atteggiamenti attraverso i quali egli possa affrontare in modo partecipe e propositivo il cambiamento dello stile di vita che la diagnosi di diabete impone.

In questo modo il paziente riesce ad attenersi alla indicazioni mediche relative sia allo stile di vita da tenere sia rispetto alle terapie farmacologiche prescritte e collabora in modo attivo -manifesta compliance al trattamento.

Il rischio è infatti che come reazione immediata di rifiuto e di non accettazione della patologia diagnosticata il paziente tenda a comportarsi come se non avesse il diabete mettendo così in serio pericolo il suo stato di salute, ciò ad esempio avviene quando la persona sminuisce quanto le è stato diagnosticato, finge o è convinta che a lei non potrà accadere nulla di grave, non si sottopone ai controlli e diventa insofferente nei confronti dei medici o dei familiari che si preoccupano per lui.

Il diabete in infanzia e in adolescenza

Questo atteggiamento di sfida, di mancanza di comprensione della patologia, di senso di onnipotenza (“tanto non mi succederà niente anche se non mi attengo alle indicazioni”) è tipico dei ragazzi adolescenti che si trovano d’improvviso in un momento di crescita e di cambiamento già di per sé impegnativo e devono anche fare i conti con la realtà della malattia.

Il diabete mellito di tipo 1 colpisce ogni anno in Italia 20.000 tra bambini ed adolescenti per cui sono sempre più frequenti le diagnosi nei confronti di chi, anche solo per l’età, è in una condizione di maggiore fragilità.

La reazione di maggior fatica e di shock inizialmente è da parte dei genitori che manifestano una preoccupazione e un’angoscia nei confronti di quanto diagnosticato al proprio figlio. A ciò si somma il dover spiegare al bambino/al ragazzo non solo che cosa ha ma anche come dovrà modificare la sua vita di tutti i giorni.

I genitori dei figli con diabete si sentono impotenti di fronte a un figlio che si ribella alle limitazioni ed estremamente preoccupati per le conseguenze che potrebbero avvenire. Tendono a irrigidirsi sulle prescrizioni e sulle regole da tenere ottenendo che il figlio non solo non accetta di seguire le indicazioni mediche ma si allontana anche dai propri genitori. 

Lo psicologo in queste situazioni valuta se è più opportuno proporre degli incontri con il paziente stesso o se è più utile (o semplicemente più fattibile se ad esempio l’adolescente si rifiuta di avere degli incontri) intraprendere un percorso clinico indiretto seguendo i genitori e quindi in modo mediato agire sul ragazzo.

L’accompagnamento emotivo da parte dello psicologo segue di pari passo i cambiamenti concreti di stile di vita oltre che gli andamenti emotivi relativi all’accettazione della patologia; l’accettazione non si raggiunge infatti una volta per tutte ma necessita di un tempo caratterizzato da momenti di stallo, da momenti di avanzamento e da momenti di regressione.

L’obiettivo è che si arrivi ad un buon equilibrio e che la persona -paziente o familiare- abbia introiettato grazie al percorso con lo psicologo degli strumenti cognitivi ed emotivi per gestirsi.

Per ricevere informazioni su un primo colloquio presso il Centro Clinico di Psicologia, telefona al 039.9416276 o scrivi una mail a info@centropsicologiamonza.it

*Psicologa, Psicoterapeuta

Photo by Joanna Kosinska on Unsplash

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