* Marco Caltanissetta

Camminando. La pozzanghera. Uno allunga il passo e la schiva contento. Un altro più basso lo accorcia e la centra soddisfatto. Un terzo non la vede, sbuffa schizzato.

Anche i percorsi psicologici possono avere durate differenti e obiettivi altrettanto diversi l’uno dall’altro. Talvolta sono finalizzati a mettere a fuoco quel confuso disagio che disturba la persona. Talvolta ad individuare le cause che producono dolore. Spesso l’attenzione va sulle strategie per rimuovere entrambe: cause e sofferenza.

Per altri invece il percorso psicologico è un’isola di serenità in cui fermarsi a pensare e a condividere idee, sogni ed emozioni. A condividerli con un’altra persona chiamata psicologo.Ciò che può sorprendere è il constatare come tali percorsi possano essere vissuti e descritti da alcuni nel modo più entusiasta e soddisfatto. Come esperienza che ha cambiato la vita. Come momento di svolta nella gestione delle situazioni fino ad allora problematiche, irritanti o incastrate. O anche come coccola che sorprendentemente ha prodotto risultati al di là delle aspettative.

Per altri invece il resoconto è molto più cupo o infuocato. La delusione e la rabbia possono nascondere alla vista vissuti ancor più dolorosi. Quella perdita di speranza per sé e per il proprio futuro che lascia la persona in una solitudine sconsolata. Le frasi ricorrenti sono tristemente note: tanto non serve a niente… non mi è cambiato nulla… nessuno mi può aiutare… ho già parlato con diversi psicologi e non ci credo più

Appare allora utile ricordare che… al di là di obiettivi e modalità, il percorso psicologico è un processo di conoscenza e comprensione di ciò che accade nella persona.
Questa conoscenza è trasformativa.
Vedere una cosa e dargli significato è trasformativo. E il significato che ognuno dà racconta qualcosa di sé ma non solo. Influenza il modo di vedere il mondo e di comportarsi. Se vedo una pozzanghera è diverso dal non vederla. Se sono un adulto probabilmente allungo il passo. Senza accorgermene mi sono già modificato. Se sono un bambino, forse lo accorcio, per centrarla nel punto più profondo. Ed esulto soddisfatto.

Dicevamo dunque che i colloqui psicologici sono sia un percorso sia un lavoro. Si tratta quindi di un processo di raccolta di elementi e di collegamento l’uno all’altro.

Due fasi.: Raccolta e collegamento.

La raccolta

fa riferimento all’osservazione e al racconto di ciò che si vive o si è vissuto. All’individuazione precisa di pensieri, emozioni e sensazioni fisiche. Questa raccolta è compiuta dal paziente e dallo psicologo. Entrambi cercano, individuano e condividono. Si confrontano e come un bravo direttore di museo spolverano e catalogano questi reperti in attesa di poterli collegare l’uno all’altro. Spolverano per evitare confusioni tra una cosa un’altra che pur sembrando simili sono diverse e se confuse porterebbero in direzioni diverse: Sono arrabbiato o sono deluso? Sono triste o sono sfiduciato? Non capisco o non si può capire? Sono inadeguato io o è impossibile farlo?

Il collegamento

è la fase successiva in cui si guarda cosa si è trovato e si individuano i collegamenti tra i vari reperti. Alcuni sono più immediati. Altri collegamenti sono più complessi. Anche questa fase coinvolge entrambi: paziente e dottore. Talvolta è più avanti l’uno. Talvolta è più avanti l’altro. Si procede comunque insieme.

In alcuni casi questo percorso porta direttamente alla meta desiderata. In altri casi porta in luoghi inattesi ma inaspettatamente graditi. E sono le situazioni del primo tipo elencate poco più sopra. Quelle in cui l’esperienza, il racconto ed il ricordo sono più luminosi.

Talvolta invece ci si perde e ci si trova a sentire e a pensare ciò che è stato sintetizzato con le frasi precedenti: non serve a niente… non mi è cambiato nulla… nessuno mi può aiutare… ho già parlato con diversi psicologi e non ci credo più
In questi casi ciò che è necessario fare è poter ripercorrere le due fasi precedenti: la raccolta ed il collegamento.

Quali elementi sono stati trovati e quali sono rimasti da qualche parte non visti? O non raccolti? O non condivisi? E successivamente come sono stati messi in collegamento l’uno con l’altro?

Si tratta di concetti che potrebbero apparire a prima vista scontati o troppo astratti. Purtroppo o per fortuna non lo sono. Non è scontato fermarsi a riflettere sui dati che si sono portati al dottore psicologo. Sulla loro completezza. Sulla loro chiarezza.

Non è facile descrivere ciò che si prova. È già difficile spiegare all’ortopedico come è fatto quel male al ginocchio che ci ha portato da lui. Se ci chiede in quali condizioni si presenta talvolta è immediato dirlo talvolta ci si trova smarriti. Non parliamo del descrivere il tipo di dolore.

Analogamente trovare le parole per descrivere in modo preciso ciò che ci accade in termini di emozioni, sensazioni e pensieri è almeno altrettanto difficile se non più ancora. E ugualmente complesso è spiegare al dottore psicologo in cosa ha compreso bene e invece su quali punti il suo parlare non riflette perfettamente ciò che ci accade. Se non lo si fa o non lo si è fatto però le conseguenze sono inevitabili e gravi. Si sente di non essersi portati a casa niente se non lo scoraggiamento.

L’esperienza di un trattamento che non ha sortito l’effetto desiderato è profondamente dolorosa e dannosa. Non solo fa male o rabbia. Ma fa danno. Facilmente può compromettere la possibilità futura di richiedere aiuto. E se i trattamenti intrapresi sono più d’uno tutto ciò si moltiplica esponenzialmente.

Ovviamente cosa si può dire se non che scoraggiarsi è normale. Restare scoraggiati è però inutile e dannoso. È un trappola nella quale non si deve restare incastrati. Come liberarsene? I modi sono tanti. Qui ci preme indicare un percorso solido e piastrellato di domane da tenere nella mente sia durante un percorso psicologico sia una volta concluso.

Le domande che è utile si ponga la persona ovvero il paziente possono quindi essere le seguenti.

Ho spiegato bene al dottore? Ho raccontato tutto? Ci sono cose che non sono riuscito a spiegare? Ci sono cose di cui parlo con l’amico al bar ma non sono arrivate in studio? Ci sono cose che ho sentito che non ha colto o capito? Io me ne sono accorto? L’ho segnalato? Ne abbiamo parlato?

E ancora. Ci sono cose che mi ha detto ma che non ho capito? O non mi rispecchiavano? O non condividevo? Me ne sono reso conto? E quando me ne sono accorto l’ho segnalato?

Ciò che può essere utile è tenere a mente quanto cercato di sintetizzare in queste poche righe. L’augurio è che il desiderio di occuparsi di ciò che si prova rimetta in moto la curiosità di capire cosa può esser andato storto in una o entrambe le fasi precedentemente definite di raccolta e collegamento condiviso. Questa è anche la via per poter tornare a riflettere sul percorso svolto, su quelli iniziati e interrotti o su quelli mai iniziati. E iniziarne uno diverso.
Diverso nel tragitto. E diverso nel finale.

*Psicologo, Psicoterapeuta

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