Shutter Island: realtà o allucinazione?

a cura di Vanessa Collerone e Eleonora Pizzocri, studentesse del Liceo Carlo Porta, Monza.

Intervista alla dottoressa Cecilia Ricci Mingani, referente dell’area Disturbi della personalità e psicotici

Buongiorno dottoressa! Pronta? Cominciamo?

Bene, allora ci dica da cosa derivano i disturbi di personalità e psicosi?
Non si può parlare di una singola causa scatenate, ma di una serie di fattori che determinano il disturbo grave; essi sono fattori biologici, psicologici e sociali. È proprio l’interazione tra sensibilità genetica, processi intrapsichici, attraverso cui l’individuo interagisce con il mondo, e contesto sociale nel quale la persona vive, fa esperienze e cresce, che spiega e determina la gravità psicopatologica, un solo fattore non è sufficiente.

 

E dunque ci sono dei segni premonitori, qualche segnale che ci avverte?

La letteratura scientifica concorda nel stabilire un’età specifica per l’esordio del disturbo grave, psicotico o meno, i 17/18 anni e 25 anni, all’ingresso dell’adolescenza, dove l’individuo è alle prese con la strutturazione della propria identità.
Esistono però dei segnali di disagio precedenti l’esordio: durante lo sviluppo infatti l’individuo può dimostrare difficoltà nell’area cognitiva, linguistica, motoria e sociale. Non è detto che tutti questi segnali successivamente evolvano in un disturbo grave, ma sono comunque significativi della sofferenza dell’individuo.

 

Adesso avremmo una domanda di chiarificazione, in cosa consiste il disturbo istrionico?

È un disturbo di personalità, più o meno grave, in cui l’individuo manifesta in modo accentuato la propria emotività, attraverso teatralizzazioni ed esplosioni esterne di stati interni.
L’individuo è in una costante ricerca di attenzioni, anche utilizzando il proprio corpo, che diventa strumento di provocazione e seduzione per instaurare delle relazioni, che risultano comunque poco significative.
Non appartiene alle psicosi, in quanto il contatto con la realtà viene mantenuto.

 

Bene, può portarci un esempio?

Quando lavoravo in comunità psichiatrica, ricordo una ragazza che, durante un pasto, si era versata in testa dell’acqua per avere l’attenzione di tutti e poi, allo stesso scopo, buttarsi a terra volontariamente.

 

Invece portando il caso di un disturbo di dipendenza, come reagisce la persona da cui dipende l’individuo ?

Dipende dalla struttura di personalità del soggetto, c’è chi si sente gratificato e potente nel vivere questa dipendenza, altri invece si sentono soffocare per la troppa presenza, per le continue richieste e rassicurazioni ed agiscono in termini d’allontanamento dal dipendente, provocando una sofferenza profonda nel paziente.

 

Nel caso invece di un individuo che ha delle allucinazioni, come vive una volta presa coscienza che quello che vede o che sente non ha corrispondenza nella realtà? Come glielo si comunica?

Non si può dire ad un paziente allucinato che quello che vede o che sente non è reale perché è la sua realtà, per lui esiste e reagirebbe alla nostra critica aggressivamente o scappando via. Pian piano invece si porta il soggetto alla critica personale delle allucinazioni, condividendo l’angoscia sottostante che le ha prodotte e facendogli sperimentare, nel lavoro psicoterapeutico, che è una modalità difensiva di cui ha avuto bisogno per relazionarsi con il mondo.

 

Ma che differenze ci sono tra allucinazione e delirio?

I deliri sono costruzioni strutturate di un pensiero complesso che distorce la realtà comune esterna ed assumono una valenza significativa, praticamente inattaccabile; essi possono avere diversi temi, dalla sensazione di essere perseguitati e spiati, a sensazioni di grandiosità e potere, ad altri dai contenuti mistici.
Le allucinazioni sono invece delle percezioni uditive, visive o tattili distorte, senza una stimolazione ambientale corrispondente: si può vedere, sentire o toccare una cosa che non ha un riscontro aderente alla realtà.
Con le allucinazioni possono essere copresenti al delirio o meno.

 

Ci parli di un delirio o di un’allucinazione che l’ha particolarmente colpita.

Un’allucinazione che mi ha particolarmente colpita è successa all’inizio della mia esperienza clinica: una donna vedeva nel suo giardino dei nani che si tramutavano in mostri spaventosi e lei per sconfiggerli si è buttata su essi riportando gravi lesioni corporee.
Portando l’esempio di un delirio, invece, mi è capitato un caso di un signore che pensava di essere terzo figlio della lupa che aveva allevato Romolo e Remo, ma che poi a differenza di quest’ultimi non aveva avuto tanta fama.

 

Com’è strutturato un colloquio?

Solitamente ricevo la telefonata dei familiari che desiderano capire come gestire la situazione di un loro familiare con disturbo grave in casa oppure chiedono un aiuto diretto al parente che sta male.
Bisogna quindi capire come intervenire, chi (tra famiglia e soggetto sofferente) è motivato ad affrontare un percorso di valutazione diagnostica e poi successiva terapia.
Ci sono casi in cui non c’è la disponibilità della persona che soffre ad iniziare nemmeno un percorso psicodiagnostico, ma esiste un disagio familiare estremamente elevato: si lavora pertanto con la famiglia, fornendo loro uno spazio di condivisione e gestione delle angosce, per trovare uno stile comunicativo nuovo per relazionarsi efficacemente con chi soffre.

 

Considerando che spesso la psicosi ha un decorso cronico, in cosa consiste la cura e la guarigione di queste patologie?

C’è da premettere che non tutte le psicosi tendono a cronicizzarsi. Se le difficoltà non vengono curate in tempo, possono non essere del tutto sanabili, ma se si agisce tempestivamente con interventi integrati si può riuscire a garantire un funzionamento che permette una vita migliore, non di ritiro forzato dal mondo in quanto fonte di angosce incontenibili. Il paziente potrà quindi fare determinate esperienze ( per esempio lavorare, studiare, avere hobbies…) in modo differente, con una struttura psichica meno fragile.

 

Come si crea l’alleanza tra paziente e psicologo?

L’alleanza si crea inizialmente attraverso la valutazione e condivisione del quadro psicodiagnostico, ossia ciò che vive il paziente, non le etichette, ma le paure, le angosce, le risorse, quindi il mondo interno del paziente che si rivolge a me.
Attraverso questa condivisione, il paziente si sente compreso ed inizia così a sentire di potersi fidare dell’altro per affrontare le sue problematiche.

 

In che modo e con quali mezzi si reintegra l’individuo nella società? Come reagiscono generalmente gli altri?

Il tipo di risocializzazione dipende dalla gravità del ritiro. Se la sofferenza del soggetto ha elicitato un ritiro massiccio dalle relazioni, si possono strutturare interventi di riabilitazione psichiatrica con educatori esperti che aiutino il soggetto a fare esperienze a contatto con il mondo, che da tempo, o a volte mai, ha fatto. Posso anche essere esperienze semplici, quali andare a bere il caffè al bar, fare la spesa, andare dal parrucchiere o in piscina, ma che aiutano il paziente a sentirsi adeguato e competente sul fare e prendersi cura di sé.
Ci sono poi delle altre attività terapeutiche più strutturate, come l’arteterapia o la musicoterapia, volte ad esprimere parti di sé attraverso canali comunicativi diversi dal linguaggio linguistico e con l’effetto secondario, non per importanza, di facilitare l’instaurarsi di nuove relazioni all’interno del gruppo dei partecipanti.

 

Che ruolo ricopre la famiglia nel disturbo e nella terapia?

La famiglia ricopre un ruolo molto importante, più collabora e meglio è.
La famiglia è determinante nel decorso della malattia e nell’evitare soprattutto delle ricadute: creare un ambiente più sereno, in cui l’interazione è meno conflittuale e rigida , il riconoscimento delle capacità e risorse prendono il posto delle critiche, l’affettività è fluida e le aspettative sono aderenti alle capacità del soggetto, aiuta il paziente ad abbassare lo stato di allarme e d’angoscia. Se invece la famiglia delega totalmente la cura, gli interventi risultano più difficili e a volte assolutamente inutili. La famiglia può e deve fare la sua parte.

 

Dopo aver ascoltato un paziente che delira per un’intera seduta cosa si porta a casa?

I pazienti che arrivano da me difficilmente delirano un’intera seduta, ma quando mi è capitato, è stato importante l’invio dallo psichiatra per un contenimento a livello farmacologico. Una volta ristabilito l’equilibrio psichico minimo, ci possono poi essere momenti più o meno frequenti in cui il paziente grave si riacutizza: bisogna imparare a filtrare e a schermarsi un po’ dalla sua angoscia, anche se molto potente, per evitare che immobilizzi il nostro pensiero e le azioni terapeutiche necessarie da compiere.

 

Da professionista quale lei è, risulta possibile conciliare il lavoro con un’eventuale famiglia?

Per me è stato faticoso, ma comunque possibile . La lunga formazione professionale mi ha portato a fare delle scelte ed anche temporanee rinunce, ma chi non ne fa? Sono felice di essermi prima concessa del tempo per raggiungere ciò a cui aspiravo e desideravo in ambito lavorativo, anche se la mia preparazione professionale è ancora in essere, e successivamente soddisfare altri desideri.