La misura dell’intelligenza è data dalla capacità di cambiare quando è necessario

a cura di Vanessa Collerone e Eleonora Pizzocri, studentesse del Liceo Carlo Porta, Monza.

Intervista alla dottoressa Edy Salvan referente dell’area dei Disturbi Specifici dell’Apprendimento

 

Buongiorno dottoressa, ci racconti, ci sono dei fattori che portano l’individuo ad avere un determinato disturbo dell’apprendimento?

Inizio subito col dirvi che il disturbo dell’apprendimento è una neurodiversità, quindi un problema neuro-biologico che riguarda il funzionamento dei processi cognitivi.
I fattori che possono portare un individuo ad avere un DSA non sono ancora certi al 100%. Possiamo comunque ipotizzare l’insorgenza di un successivo disturbo dell’apprendimento, quando è presente un disturbo del linguaggio o anche familiari che hanno questo tipo di problematiche; infatti si è riscontrata l’incidenza della familiarità. Alcuni sostengono invece che un fattore di rischio possa essere un intervento in anestesia totale nei primi 3 anni di vita. Comunque tutto questo non è ancora stato accertato definitivamente.

Grazie per la risposta, adesso tutto è più chiaro. Ma, anche se ce ne ha già un po’ parlato, ci può chiarire se l’ambiente familiare influisce su questi disturbi? Se sì, quanto?

La famiglia influisce sicuramente sulla progressione del disturbo, nel caso in cui esso non sia diagnosticato e non si sappia che le problematiche scolastiche dell’ individuo sono dovute a una neurodiversità e non a cattiva volontà da parte del bambino. Questo può comportare che il problema sfoci anche in disturbi del comportamento, d’ansia, inibizioni….

Tenendo conto anche di ciò che lei ha scritto sul sito, come ci si accorge che l’individuo ha un disturbo dell’apprendimento senza confonderlo con una normale pigrizia?

A prescindere dal fatto che la certezza della presenza di un disturbo possiamo averla solo mediante test particolari, ci sono però dei campanelli di allarme, come un’eccessiva lentezza e un mancato miglioramento, anche in seguito ad interventi massicci di recupero.

Nel caso in cui ci si accorga in un’età avanzata, secondo lei, come e quanto è possibile rimediare?

Se si cerca di intervenire sul problema in età avanzata, si deve tenere presente che esistono dei meccanismi di compensazione.
Portando l’esempio della dislessia, in generale, un adulto riuscirà a migliorare la correttezza della lettura rispetto a quando frequentava la scuola primaria, ma rimarrà comunque la lentezza.
Se appunto il disturbo viene diagnosticato in età avanzata, si cercherà di lavorare in modo tale da non farlo incidere pesantemente sulla vita della persona.

Fin qui tutto molto chiaro, grazie. Ci può approfondire il modo con cui l’individuo manifesta il disagio dovuto al disturbo?

Questo dipende ovviamente dall’età: i bambini nella scuola primaria possono sviluppare dei disturbi di comportamento perché è la prima volta che si confrontano con la richiesta di prestazione. Quando si rendono conto di non riuscire a reggere il confronto, manifestano questi comportamenti. In seguito, se il disturbo di base non viene riconosciuto, c’è il rischio che il loro stato possa anche peggiorare sviluppando anche disturbi d’ansia e depressione.
Quindi generalmente le reazioni sono due: o si destabilizzano nel comportamento oppure hanno una reazione più interna e si chiudono.
Nella scuola secondaria invece i ragazzi con DSA si sentono doppiamente penalizzati perché sembra loro di non essere capiti e spesso vengono colpevolizzati, con il conseguente rischio di abbandono scolastico.

E quali sono le reazioni degli altri quando il disturbo è diagnosticato?

Anche in questo caso la reazione è soggettiva.
Alcuni rischiano di essere discriminati perché i compagni di classe possono non accettare che essi facciano le verifiche adottando misure dispensative e strumenti compensativi.
Altri invece sono più fortunati perché vengono accolti dall’adulto di riferimento e dai compagni in modo giusto; infatti consiglio sempre alle insegnanti di parlare apertamente della problematica alla classe.

Invece, spostandoci sulla tecnica terapeutica, com’è strutturato generalmente un colloquio?

Nel mio campo bisogna innanzitutto vedere qual è il tipo di richiesta.
Se è di valutazione, mi servono 6/7 colloqui circa per conoscere, capire l’individuo e fare una diagnosi attraverso la somministrazione di test dell’apprendimento o cognitivi e grazie anche alla visita con la neuropsichiatra dell’equipe.
Se la richiesta è di tipo riabilitativo, si procede diversamente. Si parte subito strutturando un progetto riabilitativo tenendo conto del tipo di problematica. Se riguarda anche un fragilità cognitiva l’intervento sarà appunto di potenziamento cognitivo; se invece si tratta di un problema solo relativo alla lettura, scrittura, ecc, si useranno dei metodi per rafforzare le aree. Tutto ciò in sinergia con la scuola e la famiglia.
La quantità di sedute dipende dal bambino e dalla situazione di partenza.
Infine se la richiesta è di sostegno per l’impatto emotivo di questa situazione, sarà necessario un supporto psicologico.

Essendo i pazienti generalmente molto giovani, lei utilizza un approccio particolare?

L’approccio dipende sicuramente dall’età. Con i bambini piccoli è importante valutare l’aspetto emotivo, ma il lavoro è sicuramente più facile perché hanno davanti a loro una finestra evolutiva su cui poter intervenire.
Con gli adolescenti la valutazione diagnostica è differente: si cerca di lavorare sul piano della consapevolezza e di trovare delle strategie con cui poter aggirare il problema.
Per quanto riguarda gli adulti invece si lavora più sull’aspetto emotivo per accettare appunto il disturbo.

Ci dica invece, quanto dura mediamente una valutazione diagnostica tenendo conto dell’età del paziente?

Premetto che questa è una cosa molto soggettiva; come ho detto prima, dipende dalla persona, ma generalmente per una velocità standard si fanno 6/7 sedute nel giro di 2 mesi.

Ci può chiarire il significato del termine guarigione in questi tipi di disturbi?

Nei DSA la parola guarigione viene intesa come l’accettazione e l’integrazione della problematica e si ritiene raggiunta quando un individuo riesce a lavorare autonomamente in ambito scolastico mediante strumenti di compensazione.

Sa dirci se un paziente riesce sempre a superare le sue problematiche? In caso contrario, cosa succede?

Vi posso dire che i casi sono vari e non sempre tutti riescono. Quando ciò succede vi è un alto rischio che abbandonino la scuola con risvolti emotivi e psicologici preoccupanti, rischiando anche un abbassamento dell’autostima.

Che ruolo ricopre la famiglia all’interno della valutazione diagnostica?

Come ho detto precedentemente il ruolo della famiglia è fondamentale sotto certi punti di vista. È importante che essa parli del problema senza timore, non colpevolizzi il bambino con il disturbo e stia attenta a rilevare segnali che possano rivelarsi sintomi di un DSA. Inoltre la famiglia deve attivarsi in prima persona anche grazie all’aiuto degli insegnanti.

Essendo lei a contatto anche con le famiglie, nota che esse accettano sempre il parente che presenta il disturbo?

Certamente ci sono molte famiglie che fanno fatica ad accettare il problema, anche se posso assicurarvi che, essendo oggi i DSA conosciuti, nessuno li vede più come li si vedeva alcuni anni fa; quindi, nel caso fosse presente un rifiuto iniziale, è solamente necessario fare un buon lavoro di supporto familiare.

Passando a questioni un po’ più personali, come una sua esperienza passata legata all’area di cui si occupa può giovare o ostacolare la terapia con un paziente?

Avendo lavorato come educatrice in alcune scuole primarie, riesco ad entrare molto in empatia con i bambini che presentano questo tipo di problematica e il loro conseguente disagio.
Ritengo importante però non confondere il piano personale con quello del paziente perché si rischia di contaminare il lavoro.

Da professionista quale lei è, risulta possibile conciliare il lavoro con un’eventuale famiglia?

Personalmente non nego sia molto difficile perché lavorando da più parti si è sempre in movimento, ma è sicuramente possibile perché io in primis ho una famiglia.

 

 

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